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Antiche Cantine Brandolini

Gli antichi splendori un autentico gioiello architettonico

Memoria storica
e feudale antica

Le Antiche Cantine Brandolini sono una realtà dal grande impatto visivo, un autentico gioiello architettonico riportato agli antichi splendori.

Nel XV secolo, adibito a scuderia e solo dopo adattato alla produzione vinicola, nonché alla conservazione dei prodotti agricoli, ora è diventato un ambiente condiviso: la Pro Loco, infatti, lo mette a gratuita disposizione delle associazioni.

La Proloco di Cison di Valmarino, può vantarsi con legittimo orgoglio di aver acquistato e con l’aiuto degli Enti restaurato le Antiche Cantine Brandolini, riportandole agli antichi splendori.

La struttura ospita anche eventi privati, quali congressi, feste e cerimonie.

Storia – Le vicende storiche delle stalle del Gattamelata

Nell’anno 1436 i capitani di ventura Gattamelata e Brando Brandolini da Bagnacavallo, dopo anni di servizi armati resi alla Repubblica di Venezia sulle loro truppe mercenarie, come compenso, ricevettero il feudo della Valmareno con l’impegno a presidiare la zona, sempre alle dipendenze di Venezia.

Il Brandolini rilevò la metà del Gattamelata (di cui fra l’altro aveva sposato la figlia) e restò unico titolare della Valmareno.

Del vasto complesso edilizio che ora chiamiamo “cantine” quasi certamente il nucleo più antico era stato costituito in quegli anni per uso militare: doveva servire infatti come scuderie per i cavalli e alloggiamento per gli armigeri. Nella memoria collettiva, ad indicare questi stabili è rimasto il toponimo “STALLE DEL GATTAMELATA”.

Solo in epoche successive, molti decenni dopo, quando il territorio Veneto poté godere di un lungo periodo di pace e, conseguentemente, di prosperità economica, i Brandolini si trasformarono progressivamente da guerrieri in amministratori del territorio e delle sue risorse. Furono i secoli in cui anche le nostre zone videro prosperare l’agricoltura, la viticoltura, l’allevamento del bestiame e in particolare dell’ovicoltura, con la connessa produzione di lana e il suo utilizzo anche a livello “industriale”, la costruzione di mulini, non solo per ottenere farina, ma anche come generiche macchine idrauliche (maglio, segheria, battilana ecc…) e l’introduzione del baco da seta.

In queste trasformazioni, per forza di cose, furono coinvolte anche le” Stalle del Gattamelata”. Poiché non servivano più come scuderie e alloggio di soldati, furono progressivamente modificate in stalle per bovini, cantine e granai con adattamenti a seconda degli usi e delle necessità.

Una descrizione dello stato del complesso edilizio delle “cantine” la si può desumere dall’inventario dei possedimenti del Casato Brandolini che il conte Guido VIII, illuminato amministratore dei suoi possedimenti, fece redigere nell’anno 1671. (pag.19 Quaderni del Mazarol n. 11 …. un corpo di casa detto Casino con stalla, caneva et teza et altre comodità con un’hortazza murata…).

Del 1689 è il disegno delle Cantine e di tutti gli immobili del Brandolini redatto dal perito vicentino Giovanni Battista Mattiazzi. I successivi rimaneggiamenti delle cantine si possono desumere da una attenta lettura delle cartografie del catasto napoleonico e poi da quello austro-ungarico che riguardano il completamento dell’ala a sud e la costruzione ex novo dei porticati che corrono ed est nel lato strada (se ne possono visionare le copie da pannelli che sono esposti proprio all’interno delle cantine al primo piano).

Di epoca più recente è invece tutta l’edificazione realizzata sul lato ovest, su un piano superiore rivolto verso il “brolo” e il tratto di collegamento a nord fra questa nuova costruzione e quella antica centrale; questo tratto di collegamento (che porta la data 1907) è costituito da un solo grande vano dedicato ad ospitare un’unica grande botte -“ il bottòn”- assiemata sul posto, della capienza di ben 5000 litri, ove veniva conservato il vino più ordinario.

Dopo la disfatta di Caporetto, nel periodo di occupazione del nostro territorio da parte dell’esercito austro-ungarico, anche le cantine vennero occupate: in particolare, tutta l’ala a sud venne adibita a cucina (piano terra) e a dormitori per truppe (primo piano). I nostri vecchi tramandano la memoria che, a seguito della vittoriosa offensiva sul Piave, gli Austriaci prima di fuggire sconfitti, hanno sfondato le botti e in particolare il “bottòn”, tanto che il vino scorreva fin sulla strada e la gente correva coi secchi a tentare di recuperarlo.

Nel periodo fra le due guerre non vi furono mutamenti di rilievo; nel dopoguerra, con la pace, riprese anche la produzione agricola: alle cantine arrivavano i raccolti di mais e di grano che venivano accumulati negli stanzoni al primo piano, i fagioli sempre al primo piano, nella stanzetta adiacente, mentre il piano terra era tutto dedicato al frutto della vendemmia.

  • Nell’ala sud denominata “tinozèria” erano allocati i tini, dove bolliva il mosto fino a trasformarsi in vino: c’era anche una stanza che conteneva tutte le sostanze chimiche di allora per medicare il vino e per trattare le botti, nonché alambicchi e provette per testare i prodotti.
  • Nel grande salone centrale trovavano spazio, posizionate in tre lunghe file, le botti in rovere e castagno. Oltre alle due file laterali, ce n’era anche una al centro: i travi che fungono da pilastri, portano lo scanso fatto per far spazio alle botti.
  • La stanza laterale a nord-est (veniva chiamata la “Sancta Sanctorum”) era dedicata alle piccole botti che contenevano i vini di eccellenza, prodotti da uve scelte e selezionate per qualità e vitigno, vini che venivano serviti a “corte”, cioè ai pasti e alle feste in castello, e vini – anche- che apportarono notevoli riconoscimenti ai Conti Brandilini quando li presentavano alle varie mostre e ai vari concorsi (che anche allora si tenevano). Questa stanza, fino agli anni ’80 del secolo scorso, non aveva aperture verso sud e quindi godeva di un regime di freschezza ideale per la conservazione dei grandi vini (fra tutti va ricordato, per qualità superiore, il Traminer, prodotto nei vitigni di Gai, ora eradicati).

Il resto è storia recente: l’ acquisizione da parte della Pro Loco; il prezioso e impegnativo restauro, a cavallo tra 2006 e 2007 con generosi fondi pubblici e l’utilizzo da parte dell’ intera collettività.

Quasi a morale conclusiva, si può legittimamente dire che quei grandi stanzoni, dove veniva accumulato il frutto delle fatiche e del sudore di tante famiglie dell’ intero feudo della Valmareno (una ricchezza riservata a pochi privilegiati) ora – quasi per una nemesi storica – sono stati restituiti alla fruizione di un’ intera comunità ( ci si augura) più democratica e solidale.

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